Amare ed essere amati
L’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, fin dalla nascita è chiamato a uscire da se stesso, a mettersi in cammino per andare incontro agli altri. Il cammino dell’uomo consiste nel vivere in pace con se stessi e con gli altri, nel saper uscire dal proprio egoismo per amare generosamente gli altri; dice infatti la Bibbia: «Amerai il tuo prossimo come te stesso».
Amare ed essere amati è l’esigenza profonda di ogni uomo, la realtà che rende la vita più bella e umana. Per camminare nell’amore occorre, però, saper rinunciare a tante strade ingannevoli e scegliere solamente quella che conduce al bene e rende felici. Tuttavia, il cammino dell’uomo non può essere fatto in solitudine; l’uomo è chiamato a prendersi cura degli altri, a camminare insieme agli altri, perché solo con gli altri può raggiungere la felicità.
Uomo, dove sei?
Nel libro della Genesi, dopo la disobbedienza dei progenitori, Dio cerca Adamo che si è nascosto. Ovviamente, questi non può nascondersi agli occhi di Dio ma, sentendosi in colpa, Adamo cerca una scappatoia. Quando però ascolta la voce di Dio, che gli dice: «Dove sei?», Adamo riconosce la propria colpa e confessa: «Mi sono nascosto».
Anche il figlio prodigo del Vangelo, ottenuti e sperperati i suoi beni, si ritrova a vivere in un porcile, dove si ciba con i maiali; quando però anch’egli lascia spazio alla voce di Dio, si ravvede e decide di tornare da suo padre.
Tutto questo succede a ogni essere umano quando, dopo aver compiuto il male, pieno di vergogna cerca una giustificazione per sentirsi a posto, con l’unico risultato di ritrovarsi triste e solo con se stesso. Quando però ascolta di nuovo la voce di Dio che, come un soffio, parla al suo cuore e gli chiede: «Uomo, dove sei?», finalmente riconosce i proprie errori, viene allo scoperto, ritrova se stesso e riprende in pace il suo cammino.
La storia di Pinocchio
Secondo la visione della fede cattolica, nel cammino della vita, l’uomo ha due possibilità: vivere in obbedienza al Padre e realizzare pienamente la propria umanità, oppure, vivere in modo contrario, perdendo la propria umanità. A tale proposito, rivolgendosi agli uomini, il grande poeta Dante Alighieri ammoniva: «Fatti non foste a viver come bruti».
Un’interessante immagine del cammino dell’uomo è offerta dalla storia di Pinocchio. Questo misterioso burattino disobbedisce al padre e, vivendo in modo sovversivo, perde se stesso, diventando un asino come l’amico Lucignolo; ma quando in modo responsabile cerca suo padre e lo riabbraccia, ritrova pienamente se stesso e diventa un ragazzino, un essere umano.
La storia di Pinocchio rappresenta l’avventura di ogni uomo e, nella sua struttura, è identica alla storia sacra: c’è la disobbedienza e la fuga dal padre, c’è un cammino di ritorno al padre e, infine, c’è la piena partecipazione alla vita gioiosa del padre.
Chi è l’uomo
Guardando al misterioso pezzo di legno, da cui nascerà Pinocchio, in Mastro Ciliegia sorge spontanea una domanda: «Che ci sia nascosto dentro qualcuno?». È un interrogativo logico che sorge naturale anche quando si osserva la vita dell’uomo! Che cosa c’è nell’essere umano oltre alla materia? Esistono solo le cose che si vedono e si toccano o c’è nell’uomo anche qualcosa di invisibile e spirituale? Certamente sì! Nell’uomo c’è un desiderio di vita e di felicità che non è certo un elemento materiale. Egli pensa, ama, desidera, decide, gioisce e sono tutte azioni spirituali che non si vedono e non si toccano.
L’uomo è un essere destinato alla felicità, costituito da un corpo materiale e da un’anima spirituale. Egli è un essere che si interroga sul senso della vita; è un essere pieno di desideri; è un essere con una forte nostalgia di Dio, suo creatore. L’uomo, dentro di sé, ha sempre un vuoto che desidera riempire: un ansia profonda di felicità che solo Dio Padre può colmare. Chi è dunque l’uomo? L’uomo è un essere in cammino alla ricerca del Padre.
Il giudice Rosario Livatino

Uno dei “giudizi ragazzini”
Mi chiamo Rosario Livatino, sono nato il 3 ottobre 1952 a Canicattì, in provincia di Agrigento. Fin da piccolo mi è sempre piaciuto studiare e, quindi, mi sono laureato con il massimo dei voti presso la facoltà di Giurisprudenza a Palermo. Poi, a 25 anni, ho vinto un concorso attraverso il quale sono diventato giudice presso il tribunale di Agrigento: uno dei cosiddetti “giudici ragazzini” mandati in prima linea contro la mafia. Ma in tutto questo percorso, mi ha sostenuto l’educazione datami dai miei genitori insieme alla fede e alla parola di Dio, che mi sono sempre state di grande aiuto.
Ho dovuto affrontare la mafia
Come giudice non ho mai dimenticato che, oltre ad essere un difensore della legge, ero anche un cristiano; pertanto, tutto ciò che ho fatto ho cercato di farlo secondo i principi della fede e della carità. Nel mio lavoro ho dovuto affrontare la mafia e mi sono impegnato con tutto me stesso per fermare la sua attività criminale. Con l’aiuto di Dio, non mi sono mai lasciato intimidire dalle molte minacce che mi sono pervenute. Inoltre, ho sempre cercato di avere rispetto per ogni uomo, compresi quelli che ho dovuto condannare; verso di essi ho sempre cercato di essere caritatevole.
Tutto sotto la protezione di Dio
Pur giovane, ero pienamente consapevole dei rischi che correvo e dei pericolo che incombevano sulla mia persona. Per tale motivo, ho messo tutto sotto la protezione di Dio, così come ho scritto nella mia agenda: Sub Tutela Dei. Questo mi ha aiutato molto e ha fatto sì che io mantenessi sempre uno spirito di libertà, lavorando con serenità di giudizio e rinunciando anche a ogni forma di compromesso e favoritismo. Inoltre, ringraziando Dio, non mi sono mai dimenticato dei poveri: ogni mese, in segreto, consegnavo del denaro a persone che vivevano in uno stato d’indigenza, oppure, facevo loro la spesa per sostenerle nelle loro prime necessità.
Un commando di quattro killer
Ogni giorno, dopo la preghiera e la messa quotidiana, mi recavo al lavoro con la mia Ford Fiesta; guidavo da solo perché avevo rifiutato la scorta: avevo paura di mettere in pericolo la vita di altre persone. Una mattina, però, mentre percorrevo la strada statale Agrigento-Caltanisetta, sono stato affiancato da un auto e da una moto. Era un commando mafioso composto da quattro killer. Questi sono riusciti a fermarmi e hanno cominciato a sparare. Io, sceso dall’auto ferito a una spalla, ho provato a fuggire nei campi lungo la strada. Tuttavia, sono stato immediatamente raggiunto da uno dei sicari al quale ho chiesto: «Perché? Cosa vi ho fatto?». Ma questi, senza alcuna pietà, mi ha subito sparato uccidendomi. Era la mattina del 21 settembre 1990 e avevo solo 38 anni.